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sabato 15 dicembre 2018

Intervista ad un "Mister", il nostro prof. Fabio Lorefice

Quest’anno a scuola è arrivato un professore, Fabio Lorefice, che conosciamo come allenatore di calcio a 5 con l’Arcobaleno Ispica in Serie B. Noi sappiamo che lui allena molti ragazzi nostri coetanei e nostri amici, per cui ne volevamo approfittare per fargli delle domande e conoscerlo meglio, come allenatore non solo come nuovo professore.
(Natale) Innanzitutto durante l’intervista la dobbiamo chiamare mister o professore?
Vi state impegnando per scrivere un articolo sul giornalino del nostro istituto, il blog “Il filo conduttore”, un’iniziativa didattica bella e formativa, quindi siamo nelle vesti di alunni e professore. In ogni caso, o mi chiamate in un modo o nell'altro vi assicuro che le mie risposte non cambieranno.
(Entoni) Ci presenta la sua società? 
L’idea “Arcobaleno” è nata 18 anni fa, siamo partiti dall'ultima categoria e passo dopo passo siamo arrivati in Serie B. 
(Sefedin) Quale è il segreto di questo cammino che ha portato fino alla B?
Che ogni passo è stato piccolo. Una goccia alla volta, abbiamo riempito un vaso e dentro questo vaso c’è di tutto: il settore giovanile con i bambini che iniziano a conoscere il “futsal”, le squadre femminili, le promozioni e le retrocessioni, le soddisfazioni e le delusioni e soprattutto tante, tantissime esperienze che hanno segnato la crescita di tutti i ragazzi.
(Natale) Nonostante siate arrivati in un campionato nazionale non avete cambiato i vostri giovani giocatori, come mai questa scelta?
E’ una caratteristica fondamentale per noi, lavorare su un gruppo giovane, crescerlo nel settore giovanile, insegnare loro il comportamento e lo sport che amano facendogli fare le categorie dei grandi e anche lanciandoli prestissimo in prima squadra, pur andando incontro alle sconfitte o alle retrocessioni. Ma questa è la via per imparare e per crescere.
(Sefedin) I nostri amici ci hanno raccontato una cosa strana: lei parla sempre dell’amore verso la sconfitta. 
Questo discorso di amare la sconfitta, sia dentro il campo, sia fuori dal campo e quindi nella vita, per me è fondamentale per crescere come giocatori e come persone. Voglio dire, se io in campo non perdo, non sbaglio, penserò di essere bravo, di non avere difetti da correggere, di non aver nulla da imparare. Solo la sconfitta ti fa capire che hai commesso degli errori, che devi pensare a quegli errori, analizzarli, correggerli e andare avanti, al prossimo errore. E così più perdi più impari, migliori, cresci. 
E lo stesso vale fuori dal campo: gli ostacoli e le difficoltà della vita sono occasioni necessarie per crescere e migliorare. Di fronte ad una delusione o un insuccesso non ci si deve arrendere, demoralizzare, lasciarsi andare. 
Ai giovani dell’Arcobaleno dico spesso: se io vinco una partita 10 a 0 probabilmente sarà stato sufficiente spostare la palla per saltare un avversario, tirare male in porta per segnare, perdere palla o sbagliare un passaggio e non subire comunque gol. Ma di tutto questo non me ne sarò accorto, anzi sarò strafelice per la vittoria. 
Se io invece perdo una partita 10 a 0, significa che ho voluto saltare l’avversario semplicemente spostando la palla e non ci sono riuscito, ho tirato male in porta e non ho segnato, ho sbagliato un passaggio e abbiamo subito gol. Solo in quest’ultimo caso mi dovrò rendere conto che devo imparare a dribblare bene, devo migliorare nel tiro, devo fare passaggi più precisi: insomma, comprenderò che devo impegnarmi di più per conquistare i miei traguardi. 
Per questo più sbagliamo, più correggiamo, più miglioriamo. Dobbiamo sperare di sbagliare, dobbiamo amare i nostri errori, perché sono quelli che ci fanno crescere.
(Entoni) Mi scusi prof, ma se dovessimo trasferire quello che lei sta dicendo al nostro mondo della scuola, allora secondo lei dovremmo amare un 4 invece che un 8?
Giusta osservazione, ma vi rispondo che l’otto deve essere il nostro traguardo e il quattro il mezzo per arrivarci. Se abbiamo preso un otto significa che abbiamo studiato, abbiamo compreso le spiegazioni, le correzioni dei prof ai nostri errori, al nostro quattro. Non è certamente caduto dal cielo l’otto. Dietro ogni conquista c’è un lavoro, lo studio, c’è l’impegno e ci sono i sacrifici. Non c’è “la sfortuna” o la prof che “ce l’ha con me” o il prof che “non sa spiegare bene”. Quante volte si sentono gli allenatori dire ai propri giocatori: “oggi avete perso perché non c’eravate con la testa” o “non abbiamo messo grinta” oppure “non eravate concentrati”. Invece bisogna far loro capire dove hanno sbagliato, perchè non hanno potuto realizzare quello che avevano preparato in allenamento, abituarli a prendere consapevolezza dei propri errori. Solo così i ragazzi impareranno a capire ed affrontare meglio le difficoltà e i problemi che la vita sempre riserva: dopo una sconfitta sul campo di gioco, dopo una delusione nella vita, dopo un brutto voto a scuola c’è sempre una spiegazione. La comprendo, la correggo e vado avanti un po’ più forte e un po’ più bravo di prima… fino al prossimo errore.

(Natale, Entoni, Sefedin) Grazie, è stato un piacere partecipare a questa attività che ci hanno proposto la prof.ssa Varano e il professore Fabio. Dopo questa intervista rifletteremo sul fatto che anche se cadiamo possiamo rialzarci sempre e affrontare meglio i problemi della vita di ogni giorno.

Natale Lorefice, Entoni Macauda, Sefedin Khaled  1^A Manutenzione